Testo e foto di Francesco Verdino
Andare a fare la Translagorai è sempre un’esperienza.
Bella o brutta sta a voi deciderlo. Potrà essere bella se arriverete allenati e preparati, ma potrebbe diventare un calvario se non ci arriverete con la giusta mentalità e il giusto livello di allenamento.
La nostra, per fortuna è stata una grande esperienza: miracolosamente per 5 lunghi giorni in quota, tutto è girato per il verso giusto.
Facciamo però una premessa: il Lagorai, per chi non ne fosse a conoscenza, rimane probabilmente l’unica catena montuosa ancora non antropizzata e selvaggia del Trentino. Queste montagne negli anni hanno sempre resistito all’uomo, incuranti della sua espansione. Sono rimaste lì come mille anni fa, identiche: chiaro è stato posto qualche bivacco qua e là ed è stata rifatta tutta la segnaletica dei sentieri, ma niente più di questo. I rifugi su 90 km di traversata sono 5 e messi non proprio nei posti tappa ottimali e comodi per svolgere questa lunga escursione. Chiamarla escursione è però riduttivo: i passaggi con catene sono tanti, così come quelli esposti e le parti in cui non si può sbagliare. Sicuramente è adatta a veri alpinisti, non a improvvisati. Cinque giorni in quota poi sono tanti. Con il maltempo dietro l’angolo poi la situazione diventa abbastanza pericolosa.
Noi siamo stati fortunati: già alla partenza da Panarotta 2000 i temporali hanno iniziato miracolosamente a schivarci. Una nuvola di Fantozzi al contrario. Tanto allarme ma per fortuna zero acqua! Scegliamo di dividere le tappe in maniera strana: abbiamo la tenda ma ogni notte è prevista pioggia forte, situazione prettamente estiva. Per questo motivo scelgo insieme ai nostri magici clienti di cercare di arrivare a fine tappa nei pressi di rifugi o bivacchi, cambiando le distanze in base alla necessità. Questa scelta trasformerà la traversata da potenziale disastro a grande successo. I ragazzi per fortuna sono molto allenati e non hanno problemi né di passo né di tempi. Per questo la scelta si rivelerà vincente.
Subito dopo Panarotta 2000 si sale al Monte Fravort: un vero vertical degno delle più importanti gare di corsa in montagna. Per 500 metri di dislivello circa, non si rifiata mai! Nonostante alcune leggere sofferenze, si sale alla grande e si punta a terminare la prima tappa in circa 7 ore e mezzo. Nel cammino incontriamo poche persone: solo un gruppo di scout che però si fermerà al lago Erdemolo in tenda. Dalle ore 18 sono previsti forti temporali: per questo motivo puntiamo dritti verso il Rifugio Sette Selle (ottimamente gestito) e poi verso il Passo Palù dove un casolare spartano può fungere da Bivacco in caso di emergenza maltempo. Tutto questo però dopo aver scolato una bella birra fredda in rifugio: la birra sarà un tema fondamentale di questa vacanza e probabilmente la vera benzina di questo gruppo affiatato e anche molto assetato!
Nemmeno il tempo di aprire la porta del casolare ed ecco il diluvio universale: le tende avrebbero sicuramente tenuto, ma essere sotto un vero tetto è sicuramente un’altra cosa!
La seconda tappa – una delle più corte – passa invece liscissima tra belle chiacchere e spiegoni appassionati sulla Guerra Bianca. Su questa catena infatti si sono svolti numerosi capitoli della Prima Guerra Mondiale. Passiamo sereni Malga Cagnon, il Bivacco Ana di Telve ai Mangheneti e ci fermiamo dopo il Lago delle Buse. Tutto questo dopo aver bevuto un paio di ottime birre al Rifugio Passo Manghen, a cui non possiamo non fare i complimenti per la scelta del personale!
Ovviamente la sera arriva la pioggia,ma per fortuna, siamo al caldo anche stasera!
L’indomani ci aspetta la tappa clou di questa traversata: circa 32 km con 1750 metri di dislivello positivo: il sogno è riuscire a schivare la pioggia e raggiungere per cena Malga Sadole, il nostro punto tappa dove i gestori lasciano montate alcune tende per tutta l’estate in modo da favorire gli alpinisti che compiono la Translagorai!
Il mattino partiamo presto, la lunga tappa spaventa un po’ tutti ma con grande calma la porteremo a termine! Questa tappa è veramente bella: enormi pietraie di porfido d’alta quota si susseguono a tratti veramente alpinistici con scale, pioli e catene. È forse la tappa più bella e completa e vale da sola questa la traversata. Subito a inizio tappa notiamo un panorama che fa veramente amare questi posti: siamo al centro di buona parte della catena alpina, la vista spazia dal gruppo Ortles Cevedale - è sempre un’emozione vedere le montagne di casa - alle Dolomiti, passando per Adamello, Presanella e tutto il gruppo del Brenta.
Camminiamo con grande attenzione nei tanti tratti esposti di questa tappa: non ci si può mai rilassare e bisogna sempre fare grande attenzione. Non è possibile sbagliare: questa traversata è molto più di un trekking.
Per mezzo giorno siamo a Forcella Lagorai dove cuciniamo una minestrina primavera stile ospedale che però in questo caso ci sembra un piatto da cucina stellata!
La nostra meta di oggi è il Passo Sadole: da questo punto in poi, gli ultimi 3 km saranno in discesa, perderemo quota e saremo fuori da ogni pericolo. Il problema è che il passo non arriva veramente mai! La tappa è infinita, ma bisogna tenere il morale alto. Continuiamo a camminare circondati dai nuvoloni: qualche goccia ci farà indossare il guscio ma per fortuna anche oggi ci salveremo: raggiungiamo Malga Sadole asciutti, increduli e soprattutto per l’ora dell’aperitivo! Momento perfetto per gustarsi la solita birra quotidiana! Siamo oltre metà della traversata e tutto sta filando per il verso giusto! Non è sempre così scontato su uscite difficili come questa.
Dopo una bella cena – accompagnati dalla grande simpatia dei rifugisti – scegliamo di pensare la tappa seguente in questo modo: ci fermeremo al Bivacco Valmaggiore accorciando un pochettino la tappa in modo da riposarci un filo e goderci un pomeriggio di riposo in quota.
Anche la quarta tappa procedere liscissima e senza intoppi. Per pranzo siamo a Valmaggiore. Questa forcella è veramente un posto incredibile: spacca il Lagorai in due ed è probabilmente l’unico posto veramente frequentato della zona insieme al Passo Manghen e ai Laghi Colbriccon.
Approfitto del pomeriggio libero per fare una corsetta verso la Cima di Cece e guardare un po’ la situazione per la tappa di domani: la conosco già bene e so che tecnicamente è pari alla terza tappa, ma solo un filo più corta. Mi accorgo però di un tratto molto delicato: i forti temporali dei giorni precedenti hanno fatto scaricare completamente un canale molto ripido, punto chiave della traversata. Tornando al Bivacco richiamo l’attenzione della mia squadra per discutere della tappa del giorno seguente: siamo praticamente alla fine della traversata e rinunciare ora per il sentiero franato sarebbe un peccato. Cartina alla mano, mi invento un’inedita ultima tappa che aggiri quel passaggio delicato. So che affronteremo sentieri poco o addirittura non segnati e che in quei posti non passo veramente nessuno da anni. Proveremo!
Nell’andare a letto ci accorgiamo di alcune luci vaganti verso la Cima di Cece e attimi di tensione scaldano l’attenzione delle persone presenti in bivacco. Dopo una lunga valutazione della situazione, capiamo che le persone sulla montagna non sembrano in pericolo e probabilmente si sono accampate. Andiamo così a letto sereni – per modo di dire. Passare una notte su quelle pietraie sicuramente non è il massimo.
L’ultima tappa è anch’essa molto lunga, circa 25 km ma non ha troppo dislivello. Orientandoci praticamente sempre con la cartina passiamo sul versante Sud del Lagorai dove cime di porfido si scagliano imponenti tra i prati verdi. Sono paesaggi da rimanere a bocca aperta.
Gasati dal fatto che riusciremo probabilmente a finire la Translagorai, mangiamo letteralmente la tappa! In lontananza compare il Passo Rolle con San Martino di Castrozza e il gruppo delle Pale. Lì sotto ai Laghi Colbriccon c’è il nostro arrivo e probabilmente l’ultima birra! In discesa qualcuno prova anche ad accennare un allungo di corsa. Fantastico, la fine si avvicina sempre di più.
I cinque giorni sembrano volati e la quasi delusione di non poter terminare la traversata per mancanza di sentiero del giorno prima è dimenticata: una birra gelata ci aspetta al Rifugio Colbriccon insieme ad un doppio panino! Gli ultimi metri passano veloci e incredibilmente abbiamo terminato questa grande esperienza.
Finire questa traversata senza problemi è veramente incredibile: tutto è girato nel verso giusto e nonostante la stanchezza si festeggia alla grande.
Chissà come si comporterà il gruppo del prossimo anno!
Francesco Verdino
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